Ho riletto di recente la “Lettera sulla felicità” di Epicuro, filosofo greco vissuto nel 300 a.c. .
La “palestra mentale” attivata dalla lettura della filosofia fa sempre molto bene al cuore ed alla mente, perchè ci riconduce ai valori essenziali della vita, ricordandoci quanto sia importante soprattutto come si vive, e quanto questi temi appartengano all’uomo da sempre.
Vi invito a leggere , o rileggere per chi lo avesse già fatto, questo breve trattato sulla filosofia e lasciare se ne avete voglia, i vostri commenti.
“Lettera a Meneceo (sulla felicità)
L’uomo cominci da giovane a far filosofia e da vecchio non sia mai stanco di filosofare. Per la buona salute dell’animo, infatti, nessun uomo è mai troppo giovane o troppo vecchio. Chi dice che il giovane non ha ancora l’età per far filosofia, e che il vecchio l’ha ormai passata, è come se dicesse che non è ancora giunta, o è già passata, I’età per essere felici.
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Una sicura conoscenza dei desideri naturali necessari guida le scelte della nostra vita al fine della buona salute del corpo e della tranquillità dell’animo, perché queste cose sono necessarie per vivere una vita felice. Infatti noi compiamo tutte le nostre azioni al fine di non soffrire e di non avere l’animo turbato. Ottenuto questo, ogni tempesta interiore si placherà, perché il nostro animo non desidera nulla che gli manchi, né ha altro da cercare perché sia completo il bene dell’anima e del corpo.
Consideriamo un grande bene l’indipendenza dai desideri non perché sia necessario avere sempre soltanto poco, ma perché se non abbiamo molto sappiamo accontentarci del poco. Siamo profondamente convinti che gode dell’abbondanza con maggiore dolcezza chi meno ha bisogno di essa e che tutto ciò che la natura richiede lo si può ottenere facilmente, mentre ciò che è vano è difficile da ottenere. Infatti, in quanto entrambi eliminano il dolore della fame, un cibo frugale o un pasto sontuoso danno un piacere eguale, e pane e acqua danno il piacere più pieno quando saziano chi ha fame. L’abituarsi ai cibi semplici ed ai pasti frugali da un lato è un bene per la salute, dall’altro rende l’uomo attento alle autentiche esigenze della vita; e così quando di tanto in tanto ci capita di trovarci nell’abbondanza,s appiamo valutarla nel suo giusto valore e sappiamo essere forti nei confronti della fortuna.
Quando dunque diciamo che il piacere è il bene completo e perfetto, non ci riferiamo affatto ai piaceri dei dissoluti, come credono alcuni che non conoscono o non condividono o interpretano male la nostra dottrina; il piacere per noi è invece non avere dolore nel corpo né turbamento nell’anima.
La vita felice è invece il frutto del sobrio calcolo che indica le cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle false opinioni dalle quali nascono grandissimi turbamenti dell’animo.
Le virtù sono infatti connaturate ad una vita felice, e questa inseparabile dalle virtù.
Un uomo così ha imparato a sorridere di quel potere – il fato – che per alcuni è il sovrano assoluto di tutto: di fatto ciò che accade può essere spiegato non soltanto attraverso la necessità, ma anche attraverso il caso o in quanto frutto di nostre decisioni per le quali possiamo essere criticati o lodati.
Quanto al fato, di cui parlano i fisici, era meglio credere ai miti sugli dèi che essere schiavi di esso: i miti infatti permettevano agli uomini di sperare di placare gli dèi per mezzo degli onori, il fato invece ha un’implacabile necessità. E riguardo alla fortuna non bisogna credere né che sia una divinità, come fanno molti – gli dèi infatti non fanno nulla che sia privo di ordine ed armonia – né che sia un principio causale; non bisogna neppure credere che essa dia agli uomini beni e mali che determinano una vita felice; da essa infatti provengono solo i princìpi di grandi beni e di grandi mali.
E’ meglio quindi essere saggiamente sfortunati che stoltamente fortunati, perché è preferibile che nelle nostre azioni una saggia decisione non sia premiata dalla fortuna, piuttosto che una decisione poco saggia sia coronata dalla fortuna.