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L’intervista a Marco Ferrini

Marco Ferrini per molti è soprattutto il Maestro, Matsyavatara Das come lo chiamano i devoti.

Ho già scritto del nostro incontro e del legame speciale che si è creato con la sua grande spiritualità.

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Oggi, invece, voglio riproporvi un’intervista rilasciata da Marco nel 2000 a “Italia Oggi” : illustra il suo percorso di vita in modo molto interessante.

Buona lettura!

(articolo uscito su “Italia Oggi” del 20 gennaio 2001)

 

 

MARCO FERRINI – Designer e studioso

Una strada verso Oriente  e un debole per tele di rara bellezza

di  GIORGIO COSTA

Il tassista indiano, spazientito (e ce ne vuole per spazientire un indiano) dopo una giornata di girovagare nel caldo assurdo di Vrindavana,
città sacra dell’India,  vicino a Mathura, 90 km a sud di Delhi, lo lasciò in mezzo alla strada.

 

Solo, con un compagno di viaggio indebolito da problemi intestinali.Bussavano da un monastero all’altro senza successo dalla mattina e l’indiano
si era proprio scocciato. Il sole era una lama, da una parte i campi,dall’altra una recinzione di bidoni di latta aperti e  riutilizzati.
Disperati, e soli, bussarono in quella che sembrava una porta. “Italiani, vero?», rispose  uno strano soggetto aprendo un varco nella barriera.
Dietro la quale, finalmente, si disgelava il maestro.

Inizia qui l’incredibile avventura di Marco Ferrini, designer toscano di grande successo (lavora per  Mercury e Julia e nei tempi passati, tra le tante, per Sma, Verardo, Corsini e Antares) sbarcato in India alla ricerca  di se stesso.

Non il viaggio stupido e superficiale ma un approdo che è stato il frutto di un viaggio senza arrivo,  perché se arrivo vi sarà, quello di Ferrini non
sarà di certo in un aeroporto.Oggi, a quasi 56 anni, Marco Ferrini continua a fare il designer part – time(i soldi li ha fatti  negli anni passati e oggi può tranquillamente vivere di royalties e di quel poco che di nuovo crea) e  si dedica anima e corpo allo studio e alla diffusione dell’antico sapere dell’India, carsicamentesepolto dai fasti economici (e quindi culturali) della civiltà occidentale ma oggi in decisa rimonta.  Complice l’insoddisfazione dell’uomo occidentale, «sazio ma disperato», come ebbe efficacemente a dire  il cardinale di Bologna Giacomo Biffi, e la difficile risposta delle religioni
che hanno affiancato  questo processo di straordinario sviluppo economico e di altrettanto eccezionale impoverimento dello  spirito.

Ferrini ha cominciato la sua strada senza neppure sapere di aver lo zaino in spalla e oggi,  partecipare per credere (informazioni sulle sue attività nel
sito www.c-s-b.org/doctorate), tiene lezioni  frequentatissime da gente di ogni età e censo che lo ascolta, è proprio il caso di dirlo, in religiosa attenzione.
Complice una straordinaria capacità oratoria.
Il suo parlare, infatti, è quello giusto, lento e cadenzato, torto attorno a parole lontane ma  affascinanti, abile a insinuarsi nelle pieghe dolenti
delle menti, a far sentire il travaglio della  condizione umana e a fornire, più che la pillola, la sensazione che sia la persona, opportunamente
guidata, a poterne uscire, a migliorare la sua esistenza partendo dai piccoli gesti quotidiani.

Dal cibo per esempio, dell’anima ma anche del corpo. Ferrini è rigorosamente vegetariano e segue  scrupolosamente la parte medica del pensiero induista che è rappresentato dall’Ayurveda. Ora tiene  conferenze e seminari, insegna filosofia indiana all’università di Siena ma anche a Berkeley e in  altri prestigiosi atenei statunitensi ma il suo obiettivo è quello di creare una sua università per lo studio delle scienze indovediche dopo aver
costituito il Centro studi  Bhaktivedanta.

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E dire che nulla lasciava presagire questo giro di boa, negli anni verdi.
All’inizio frequentò il magistero a Firenze mettendo a frutto una straordinaria sensibilità per le  arti e, questo sì, occorre riconoscerlo,
una bella capacità oratoria. Il suo centro d’azione era il  Borgo Tegolaio, a San Frediano e in particolare (osteria Nello dove di giovedì pomeriggio,
ogni 15  giorni, teneva una lezione sull’arte (del Rinascimento in particolare) e una sulla Storia.

Amava i  quadri, li capiva nel minimo
dettaglio, riconosceva le varie scuole ed epoche dalle pieghe di una tunica, dalla sfumatura di una mano.
Con una buona conoscenza tecnica sviluppata passando ore nelle botteghe degli artigiani fiorentini  prima che cedessero alle pizze da quattro lire e
alle cartoline.

Un giorno venne ad ascoltarlo il conte Carlo Ferroni, straordinario cultore e collezionista d’arte.
Finita la conversazione lo avvicinò e gli disse: «Li vuoi vedere, intendoquelli veri, i quadri che  tanto ti appassionano?».
Aveva vent’anni, Ferrini, e seguì, titubante, il conte.
Camminarono sino al Lungarno quando in via de Corridoni gli si aprì un mondo straordinario.

Le volte a crociera, altissime, facevano da limite a distese enormi di quadri accatastati come nei  depositi di un museo: ma che museo!
Da Leonardo a El Greco, da Pontormo a Parmigianino, da Carrocci a Renoir,Toulouse-Lautrec e Manet.
C’era tutta la storia dell’arte italiana ed europea.

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L’amicizia con il conte andava avanti e si rafforzava con interminabili discussioni sino allo  sfinimento della notte.
Il legame si rinsaldò, Ferrini girava il mondo e i musei per comprare evendere in nome e per conto di  Ferroni.
Lui 20 anni, il conte 80.

«Un giorno sarà tutto tuo», ripeteva spesso l’anziano collezionista. Poi un’estate fu fatale a  Ferroni, la malattia lo corrose e i nipoti a far da
scudo al vecchio e, soprattutto, alla pericolosa  (per i quadri di casa) amicizia con il giovane Ferrini.
«Lo seppellirono senza che ne sapessi nulla», racconta oggi, ancora commosso il designer.
Amareggiato tornò a casa, cioè a Ponsacco, e aprì un suo negozio di oggetti e pezzi d’arredo antichi e  moderni.
Durò pochi mesi perché dopo aver disegnato con successo una collezione di mobili da ingresso mise su  la Marco Ferrini design che, forte della
collaborazione di 20 persone e 50 straordinari artigiani,  ebbe un enorme successo (in Europa ma anche negli Stati Uniti) e si articolò in sei
distinte aziende.

E giunse a un passo dalla quotazione alla borsa di Denver un suo progetto di vendita di arte porta a  porta.
Le cose andavano bene, troppo bene, ma non gli bastava.
Se si fermava a pensare sentiva il vuoto, dietro gli alberghi di lusso.
Iniziò a rileggere le favole, i libri dell’adolescenza, i classici russi,specie nei loro aspetti  spirituali.
Aveva fatto la vita classica del giovane di sinistra con passaggio anche dal teatro di Dario Fo ma  tornando da Pesaro, proprio dinanzi al castello di
Gradara, comodo sulla sua Pallas, sentì alla radio  che le Brigate rosse avevano rapito il giudice Solai.
La violenza verso cui il movimento fletteva non faceva per lui, così come la sempre più pervasiva  droga.
«Voglio andare in India», si disse.
Partì e trovò che tutto collimava con i suoi desideri.

Incontrò il maestro Bhaktiventa Svami Prabhupada che gli chiese: «Credi in Dio?».

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«Sì», fece Ferrini. «Allora devi diventare un suo devoto, studiare e spiegarlo agli altri».

E questa è oggi la sua vita. Tornò con l’ansia di spiegarsi a fidanzata e madre che l’aspettava con un  pranzo toscano, ovviamente a base di carne.

«Grazie mamma, ma non posso mangiarlo», e disse del suo credo.
La madre lo abbracciò e la fidanzata pure: «Era quello che avevamo da sempre pensato senza aver la  forza di farlo», gli dissero.

Ora quella fidanzata è sua moglie, lui si alza alle quattro tutte le mattine, legge (tra le molte  letture, le due categorie preferite sono psicologia e neuroscienze; in quanto a libri Il punto di  svolta di F. J. Capra e Auyrveda e la Mente di D. Frawley e molto Jung) studia, prega, disegna quel  minimo che serve e vive circondato da Dio e dai testi sacri (Bhagavad-gita in testa) in indiano che  legge senza problema.
Le vacanze passano in seminari estivi lontano da mete esotiche e vicino all’anima.
«Semplicemente cerco di fare una vita santa», spiega con grande dolcezza.

Grazie MAESTRO!

Tuo Mike

 

 

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